Oggi si celebra il
centenario dell’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, che le costò
il sacrificio di 650.000 caduti militari e circa 600.000 vittime civili. Il Governo
ha voluto commemorare il 24 maggio con un minuto di raccoglimento,
alle 15 di oggi, da parte di istituzioni, società civile e mondo dello sport, e
scandito da una salva d’onore sparata da una squadra di militari in armi, contemporaneamente
alla stessa ora, presso i monumenti ai caduti di 24 città, in tutte le Regioni,
mentre a Roma il colpo è partito dal cannone del Gianicolo.
Ai piedi di questi come
di altri mausolei sparsi sul territorio nazionale gli studenti delle scuole primarie
porteranno come omaggio alle vittime una stella alpina realizzata con la carta,
simbolo della Grande Guerra combattuta tra le montagne.
Anche Progetto Per Uboldo - CentroSinistraUboldo intende ricordare il 100° anniversario dell'entrata dell'Italia nella grande guerra riportando integralmente il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella letto oggi, sul Monte San Michele, luogo simbolo del ricordo della Grande Guerra, nel corso della commemorazione del centenario.
Intervento
del Presidente Mattarella in occasione del 100° anniversario dell’entrata dell’Italia
nella Grande Guerra
Monte San Michele - Sagrado (GO), 24/05/2015
Autorità civili e militari,
Cento anni fa, il 24 maggio del 1915, l'Italia entrava in guerra. Truppe
non sempre preparate e armate in modo adeguato varcavano il confine. Vi era,
nei vertici politici e militari, la convinzione che l'intervento sarebbe stato
di breve durata: l'apertura di un nuovo fronte a Sud - era la previsione -
avrebbe rapidamente costretto l'Austria-Ungheria alla resa.
Già il 21 giugno, giorno del primo attacco generale, la speranza di
trasformare la guerra in una «passeggiata a Lubiana» si dimostrerà illusoria.
Benché inferiori per numero, le truppe austro-ungariche resistevano
tenacemente. Nei primi mesi di guerra l'esercito italiano, che ha scritto in
quegli anni pagine gloriose, perse la sua parte migliore: gli effettivi e i
volontari, i più addestrati e i più motivati.
Ben presto ci si dovette rendere conto che, anche sul fronte italiano, il
conflitto avrebbe preso, come nel resto d'Europa, la forma di guerra di
trincea.
Se ogni assalto - una parola così temuta dai soldati - si trasformava in
una carneficina, la vita nelle trincee, così realisticamente descritta nei
diari e nelle lettere dei soldati, non era un sollievo. Fango, pioggia,
parassiti, malattie. E quelle attese, lente e snervanti: per il rancio, per la
posta, per il cambio. O, inesorabilmente, per un nuovo assalto. Il cui esito
sarebbe stato difficilmente risolutivo per le sorti della guerra, ma decisivo
per il personale destino di migliaia e migliaia di uomini.
«Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie», scriveva Giuseppe Ungaretti
dal fronte, dove era fantaccino, fissando in versi stupendi il senso di totale
precarietà che regnava al fronte.
Come era diversa, alla prova dei fatti, quella vita di guerra dal sogno
luminoso di gloria, dalla retorica perentoria, dal mito della vittoria, vagheggiati
da intellettuali e poeti nei mesi precedenti all'entrata in guerra!
Non vi era bellezza tra le trincee, solo orrori, atrocità e devastazioni.
Lo aveva ben intuito Renato Serra, spirito nobile di uomo e di letterato,
partito volontario e morto sul Podgòra. Serra scriveva: «Non c'è bene che paghi
la lagrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore
del tormentato di cui nessuno ha avuta notizia, il sangue e lo strazio umano
che non ha servito a niente. Il bene degli altri, di quelli che restano, non
compensa il male, abbandonato senza rimedio nell'eternità».
Eppure, in questo universo fatto di fango, di sofferenze, di stenti e di
morte, migliaia e migliaia di soldati, dell'una e dell'altra parte,
sopportarono prove incredibili, compirono atti di grande valore e di coraggio e
gesti di toccante solidarietà.
Siamo qui per rendere loro onore, per ringraziare ancora le nostre Forze
Armate, per rendere onore a tutti coloro che in questi luoghi, in queste
trincee, patirono, soffrirono e morirono. E compirono gesti di grande valore e
di grande coraggio.
La logica crudele della guerra non riuscì a piegare il senso di
fratellanza, amicizia e umanità. L'odio per il nemico non prevalse sulla pietà.
I soldati italiani, in maggioranza contadini, provenienti da storie e
regioni diverse, scoprirono per la prima volta, nel senso del dovere, nella
silenziosa rassegnazione, nella condizione di precarietà, l'appartenenza a un
unico destino di popolo e di nazione.
Molti di loro, forse, non riuscirono mai a comprendere le ragioni di quella
guerra. Ma nell'animo dei sopravvissuti rimase scolpito, accanto alle
insanabili ferite, il senso di aver partecipato a un evento di fondamentale
importanza per la vita della nazione.
La coscienza nazionale, prima appannaggio ristretto di élites
intellettuali, si allargava e si consolidava tra il fango delle trincee.
Se, nel 1914, l'Europa si era trovata in armi quasi per un fatale e
incontrollato succedersi di avvenimenti, il nostro Paese faceva ingresso nella
prima guerra mondiale dopo un anno di trattative diplomatiche, giocate su due
tavoli. La scelta ebbe grandi conseguenze, alcune delle quali, allora,
difficilmente immaginabili.
Dopo quella guerra nulla fu uguale a prima.
Il terribile conflitto, che flagellò l'Europa per quattro anni, disgregò
imperi e depose regnanti. Abbatté antichi confini, fece nascere nuove nazioni,
cambiò radicalmente mentalità, sogni, consuetudini, linguaggi.
La guerra fu anche un grande fattore di modernizzazione, industriale,
scientifica, sociale. Ma mai crescita di modernità fu pagata a così caro
prezzo. Da un punto di vista umanitario fu una carneficina: vi persero la vita
10 milioni di militari e un numero indefinito di civili, vi furono milioni di
feriti e di mutilati. Distrusse economie fiorenti, produsse lutti e
devastazioni, fame e miseria.
Sul piano geopolitico, le sue conseguenze - anzitutto, i trattati di pace
troppo duri - costituirono i presupposti per nuovi e ancor più tragici eventi
in Europa e nel mondo.
Ci troviamo sul monte San Michele, in rappresentanza del popolo italiano e
in memoria dei combattenti e delle vittime di tutto il conflitto per rendere
loro onore, per ricordare queste sofferenze e il desiderio di pace. Questo è il
significato dell'esposizione del tricolore in questa giornata.
Sono oggi qui, con noi, gli ambasciatori di nazioni e popoli i cui soldati,
allora, combattevano e morivano sull'altro fronte: l'Austria, l'Ungheria, la
Slovenia e la Croazia. Oggi siamo popoli e nazioni legati da saldi vincoli di
amicizia e di collaborazione e dal comune futuro europeo. Li ringrazio per la
loro presenza che conferisce, a questa celebrazione, il suo senso più
autentico, mettendo in evidenza l'aspirazione che ogni uomo nutre per la pace e
per la fratellanza.
Il San Michele è un luogo sacro. Su questa altura, di quota modesta, ma di
straordinaria importanza strategica, si tennero furiosi combattimenti tra le
truppe italiane e quelle austro-ungariche.
I soldati dell'una e dell'altra parte combattevano e morivano,
valorosamente, per la conquista o la difesa di pochi metri di terra, avanzando
e arretrando di continuo. La distanza tra le trincee nemiche era qui
ridottissima.
Si poteva sentire il nemico parlare e respirare.
Ogni metro di questa altura, "il gigante vestito di ferro", è
costato prezzi altissimi per entrambe le parti.
Scriveva a proposito del San Michele il Sottotenente Luigi Passeri del 48°
Reggimento Fanteria in una lettera ai familiari: «Quando penso che questo monte
è stato conquistato a palmo a palmo ... loro sopra e noi sotto, e che siamo
arrivati fino a presso le cime ... Ogni elemento di trincea, ogni linea, è
stato preso e ripreso mezza dozzina di volte in assalti feroci ...».
Su questo piccolo colle si è consumata una delle tante tragedie della
guerra.
Oggi, gli alberi e la vegetazione hanno pietosamente ricoperto le ferite
che il conflitto aveva inferto al paesaggio. Ma ci sono voluti decenni. Per
molto tempo questi luoghi, spogliati e devastati dalla furia delle artiglierie,
non avevano più conosciuto la primavera.
Ovunque da qui volgiamo lo sguardo, dalla cima del Monte Nero ed oltre fino
al Rombon, al fiume Isonzo, alle alture del Carso, per arrivare a Monfalcone e
al mare, possiamo osservare e riconoscere cime, vallate, luoghi che un tempo
furono tristemente famosi, teatro di tante battaglie durissime.
Quanto sangue versato, quanto dolore in questi luoghi!
E' passato un secolo dall'inizio della "Grande Guerra". La
ricerca storica ha scandagliato a fondo tutti gli aspetti di quel tremendo
conflitto: le strategie militari, le responsabilità della politica e della
diplomazia, la propaganda, il contributo degli intellettuali, l'industria degli
armamenti, l'economia di guerra.
Più di recente si è data voce, attraverso la pubblicazione di epistolari e
diari, agli anonimi fanti di trincea, talvolta semi-analfabeti, alle loro
speranze e alle loro paure.
Si è messo in luce il contributo delle donne rimaste a casa, a vegliare sui
figli, o andate in fabbrica o nei campi, a sostituire i mariti che si trovavano
al fronte.
La Prima Guerra Mondiale è un campo sterminato di ricerca. Ci sono capitoli
ancora da approfondire.
Pensiamo alle sofferenze delle popolazioni del Friuli e di parte del Veneto
durante l'occupazione dopo Caporetto.
All'altra guerra, quella della minoranza italiana dell'Impero
Austro-ungarico: 100 mila trentini e giuliani spediti a combattere contro i
russi nelle lontane terre di Galizia.
Non dobbiamo avere paura della verità. Senza la verità, senza la ricerca
storica, la memoria sarebbe destinata a impallidire. E le celebrazioni
rischierebbero di diventare un vano esercizio retorico.
In Italia, nonostante sia passato un secolo, la memoria di quella guerra,
la "Grande Guerra", è ancora sentita, e vanno ringraziati Onorcaduti
e le Associazioni che tengono viva la memoria di tanti luoghi che è bene
ricordare perché lì si è spiegata, con grande valore e con grande impegno,
l'attività del nostro esercito e delle nostre Forze Armate.
Non c'è comune, per piccolo che sia, che non abbia il suo monumento ai
caduti. Non c'è famiglia che non abbia una storia da raccontare o da
tramandare.
Rivestono grande significato i tanti progetti di ricerca su quegli anni di
guerra impostati e realizzati da giovani studenti.
Il ricordo di tanto sacrificio non deve sbiadire. Le atroci sofferenze,
inflitte e ricevute, non devono essere rimosse.
Il conflitto 1914-18 fu una tragedia immane che poteva essere evitata. La
guerra, ogni guerra, porta sempre con sé sofferenza, distruzione e morte.
I caduti, di ogni nazione e di ogni tempo, ci chiedono di agire, con le
armi della politica e del negoziato, perché in ogni parte del mondo si affermi
la pace.
Si tratta del modo più alto
per onorare, autenticamente commossi, il tanto sangue versato su queste pendici
martoriate.
E' questo il monito, severo e accorato, che tutti avvertiamo, qui, sul San Michele.
E' questo il monito, severo e accorato, che tutti avvertiamo, qui, sul San Michele.
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